Il loro ventricolo sinistro è assistito da una pompa collegata ad un piccolo computer e alle batterie di alimentazione tramite un cavo che esce dall’addome. Una sorta di zainetto salvavita che portano sulle spalle o ripongono in borsa e che garantisce a entrambe di condurre una vita quasi normale, tra viaggi e lavoro. Sono le pazienti con questo dispositivo più longeve tra quelle seguite a Bergamo e probabilmente tra le più longeve al mondo.
Valeria Pedretti, classe 1945, e Flaminia Rossi, classe 1947, non hanno molto in comune: Valeria è una suora all’Istituto Palazzolo di Bergamo che si prende cura delle sue consorelle anziane o malate; Flaminia è una casalinga con la passione per i viaggi.
Il forte legame
C’è però qualcosa che le unisce ed è un legame tanto forte quanto la loro voglia di vivere: entrambe da 10 anni vivono con un cuore artificiale perché, per questioni anagrafiche, non hanno potuto, nel 2015, essere candidate al trapianto, gold standard nella cura dell’insufficienza cardiaca terminale, che cioè non risponde più alle cure e obbliga a ricoveri ripetuti, con una prognosi spesso infausta. Sono le due pazienti con cuore artificiale più longeve seguite dall’Ospedale Papa Giovanni XXIII e probabilmente tra le più longeve del mondo, se si considera che la sopravvivenza media a 5 anni dall’impianto riportata in letteratura è del 58%.
La pompa che supporta il lavoro del loro ventricolo sinistro riesce a compensare le scarse prestazioni del loro cuore, con un ingombro minimo, garantendo loro una qualità della vita molto buona.

Com’è composto il cuore artificiale
Il cuore artificiale, chiamato in termine tecnico Ventricular Assist Device o più brevemente VAD, è composto da una pompa posizionata all’interno del torace e collegata al cuore. La pompa aiuta il cuore a pompare il sangue nel corpo, creando un flusso continuo di sangue dal ventricolo malato, quello sinistro, all’aorta. La pompa è controllata da un piccolo computer, detto controller, e alimentata da due batterie. Il controller e le batterie sono posizionati all’esterno del corpo e collegati tra loro tramite un cavo che esce dall’addome. Il risultato è una sorta di zainetto che si può indossare sulle spalle oppure riporre in borsa, con la possibilità per il paziente di ricaricare le batterie di alimentazione in totale autonomia.
Terzi: il VAD è anche una soluzione definitiva
“Valeria e Flaminia sono l’esempio più concreto di come il VAD oggi non sia solo un “ponte” verso il trapianto, ma anche una soluzione definitiva per chi ha una grave insufficienza cardiaca ma non può essere inserito in lista d’attesa, per limiti di età o per altre condizioni che li rendono incompatibili con un trapianto di cuore – ha spiegato Amedeo Terzi, Responsabile del Centro trapianti di cuore dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII -. Entrambe hanno una buona qualità della vita e svolgono anche attività non scontate con la loro malattia: Valeria si prende ancora cura con tanta dedizione delle sue consorelle meno fortunate di lei e Flaminia si divide fra la cura della casa e i viaggi.”
Progressi straordinari
“I progressi tecnici dei sistemi meccanici che supportano un cuore molto malato negli ultimi anni sono stati straordinari – ha sottolineato Michele Senni, Direttore del Dipartimento cardiovascolare dell’ASST Papa Giovanni XXIII -. Oggi possiamo contare su dispositivi molto piccoli e performanti. La sfida della ricerca in questo campo è riuscire a fare a meno del cavo che unisce la pompa al controller e alle batterie attraverso sistemi wireless e migliorare la biocompatibilità della pompa impiantata a contatto con il cuore.

“Difficilmente però si arriverà a poter fare a meno dei trapianti da cadavere – ha aggiunto Attilio Iacovoni, cardiologo dell’ASST Papa Giovanni che segue il decorso di questi pazienti -. Si sta lavorando per arrivare a un meccanismo che possa sostituire entrambi i ventricoli, ma la strada da percorrere è ancora lunga e non priva di difficoltà. Difficilmente però si arriverà a poter fare a meno dei trapianti da cadavere. Si sta lavorando per arrivare a un meccanismo che possa sostituire entrambi i ventricoli, ma la strada da percorrere è ancora lunga e non priva di difficoltà”.
Valeria e Flaminia hanno finora evitato le complicanze più comuni di questi dispositivi, come ictus, emorragie, infezioni e malfunzionamenti del ventricolo destro, quello non supportato dalla pompa. Questione probabilmente di fortuna, che però va di pari passo con le cure scrupolose offerte dai professionisti dell’Ospedale di Bergamo, che le seguono da tanti anni.
La ricerca e la tecnologia ci daranno soluzioni sempre più performanti
“La risposta che diamo è sempre calibrata sul bisogno di salute del paziente che abbiamo davanti, in un’ottica di appropriatezza degli interventi e di beneficio finale per il paziente e per la sua qualità di vita – ha commentato Alessandro Amorosi, Direttore sanitario dell’ASST Papa Giovanni XXIII -. La ricerca e la tecnologia ci daranno soluzioni sempre più numerose e performanti. Il lavoro dei professionisti della salute sarà sempre più in futuro quello di individuare la soluzione più adatta per ogni tipologia di condizione e di paziente, per una medicina sempre più di precisione e “ritagliata” sui reali bisogno della persona, in un’ottica anche di sostenibilità e miglioramento sempre più deciso degli outcome di cura”.

All’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo vengono impiantati ogni anno dai 10 ai 12 VAD in pazienti con insufficienza cardiaca terminale, come ponte al trapianto oppure come soluzione definitiva per chi non può essere in lista d’attesa.
“Il nostro Dipartimento cardiovascolare si distingue nel panorama nazionale e non solo per la capacità di dare una risposta a un range molto ampio di pazienti, che vanno dal neonato che nasce con un cuore malato al grande anziano, con al centro una fitta e variegata casistica di persone che devono fare i conti con problematiche cardiache trattate secondo i più recenti standard di cura e le novità scientifiche che la ricerca, condotta anche all’interno del nostro centro, riesce ad offrire alla clinica di tutti giorni – ha commentato Francesco Locati, Direttore generale dell’ASST Papa Giovanni XXIII -. Valeria e Flaminia credo siano l’esempio più concreto dei traguardi che si riescono ad ottenere quando la tecnologia incontra la competenza e la dedizione dei nostri professionisti”.
“Di fronte a storie come quelle di Valeria e Flaminia è impossibile non provare una profonda emozione e, allo stesso tempo, un grande senso di responsabilità istituzionale. Due donne diverse per percorso di vita, età e scelte, ma unite da una straordinaria forza interiore e da una fiducia incrollabile nella vita e nella cura.
Il fatto che da dieci anni convivano con un cuore artificiale, superando limiti anagrafici, prognosi complesse e statistiche che spesso parlano di percentuali e non di persone, rappresenta un messaggio potente per tutta la nostra comunità. È la dimostrazione concreta di come l’innovazione tecnologica, quando è accompagnata da competenze cliniche di altissimo livello e da una presa in carico umana e continuativa, possa trasformare una condizione di estrema fragilità in una nuova possibilità di vita dignitosa.
Come assessore alle politiche sociali e alla salute, sento il dovere di esprimere gratitudine nei confronti dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, ma anche quello di ribadire l’importanza di un sistema sanitario pubblico che non lascia indietro nessuno. Lo “zainetto” di Valeria e Flaminia non è soltanto un dispositivo medico, ma è il simbolo di una sanità che accompagna, sostiene e restituisce futuro.” Marcella Messina, Assessora alle politiche sociali, salute, sport e longevità.
Monsignor Giulio Dellavite, portavoce della Diocesi ha sottolineato: “Si sta per chiudere il Giubileo che ha invitato tutti ad essere pellegrini di speranza. Uno dei simboli caratteristici sia del pellegrino è lo zaino. Queste storie consegnano a tutti noi uno zainetto di speranza, mostrando la speranza non come ottimismo buonista natalizio ma come caparbietà ostinata quotidiana capace di sfidare il peggio. Ce lo insegnano sia le protagoniste che il personale sanitario. C’è estremo bisogno di questo: ne ha bisogno il mondo, ne ha bisogno la società, ne ha bisogno ciascuno. È la forza della vita che vince la notte più buia, la stessa che si celebra guardando la grotta Betlemme e che in loro per noi oggi diventa realtà e testimonianza di possibilità per altri”.





